Alessandro Manzoni - A.G.D. Como ODV - Associazione di aiuto ai giovani diabetici -





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Alessandro Manzoni

Argomenti trattati > Como città e territorio > La nostra città > Personaggi Lariani

Alessandro Manzoni, nato a Milano il 7 marzo 1785, morto a Milano 1873


Era figlio del conte Pietro Manzoni, un benestante proprietario terriero originario di Barzio in Valsassina, e di Giulia Beccaria, figlia del grande giurista Cesare Beccaria, la quale nel 1782 si separò dal marito per poi (1795) stabilirsi a Parigi con Carlo Imbonati, lo stesso a cui Giuseppe Parini aveva dedicato l'ode L'educazione.
Quando Giulia sposa Pietro Manzoni ha vent'anni e lui quarantasei, due più del suocero. È un matrimonio combinato, al quale la giovane acconsente malvolentieri e che subisce con insofferenza. Così quando nasce Alessandro, i soliti pettegoli danno per certo che la paternità del bambino sia da attribuirsi a Giovanni, il più giovane e avvenente dei conti Verri.
Pietro Manzoni, però, riconosce il figlio e lo affida a una balia, dal carattere dolce e allegro, che abita alla Cascina Costa, tra Malgrate e Mozzate, nei dintorni di Lecco.
Ma il matrimonio di convenienza tra i coniugi Manzoni dura poco; Giulia si dimostra insofferente a un'atmosfera buia e retrograda, e comincia a frequentare la casa dei Verri, dove si innamora di Giovanni.
Con la nascita del bambino la situazione in casa Manzoni diventa sempre più fredda, tanto che nel 1791 Giulia chiede e ottiene la separazione legale, che verrà ratificata dal tribunale nel febbraio 1792. Alessandro secondo la legge resta con il padre.
A sei anni il piccolo Alessandro entra nel collegio dei padri Somaschi, prima a Merate e poi, nel 1796, a Lugano. Due anni dopo eccolo a Milano, nel collegio dei Nobili, gestito dai Barnabiti: dieci anni in tutto, durante i quali riceve una buona educazione classica. Dalla scuola, però, esce esasperato e ribelle, forse anche amareggiato dalla sua situazione familiare, ma gratificato da alcune amicizie che dureranno tutta la vita, come quella di Ermes Visconti (1784-1841).
I genitori si interessano poco di lui; già dal 1792 Giulia Beccaria, che nel frattempo, abbandonando casa Verri, aveva conosciuto il nobile e ricco Carlo Imbonati, col quale si stabilisce prima a Londra e poi a Parigi, dove viene accolta favorevolmente anche grazie alla fama del padre, finché nel 1805 il nobile muore improvvisamente lasciandola erede di una cospicua fortuna.
L'adolescente Manzoni, fu in pratica abbandonato dalla madre, ed ebbe scarsi contatti umani con il padre, che in lui vedeva l'immagine del suo fallimento matrimoniale e di una donna che non era stato capace di amare e conquistare. L'adolescenza di Alessandro trascorse quindi senza affetti familiari.
Intanto nel 1798 Alessandro ritorna a Milano, che nel frattempo era diventata la capitale della repubblica Cisalpina, dopo il Trattato di Campoformio, col quale Venezia cade sotto l'Impero austriaco e Napoleone consolida il suo dominio sull'Italia settentrionale, nel collegio Longone dei Padri Barnabiti.

Nel 1801 completa gli studi e ritorna in famiglia nel palazzo di via san Damiano, alternando i soggiorni nella villa estiva al Caleotto, presso Lecco; ma vive praticamente isolato da padre, insieme alla servitù, pur conoscendo ospiti abbastanza occasionali come Monti, Foscolo e Cuoco;
Alessandro, nella casa del conte Manzoni, respira un'atmosfera malinconica, accresciuta dalla tetraggine delle sette zie nubili, una delle quali ex monaca, e dallo zio monsignore che porta la natta all'occhio. Pure, riesce a divertirsi, come tutti i giovani. Ama il teatro, va a giocare al Ridotto della Scala, conosce il poeta Vincenzo Monti (1754-1828) che gli sembra un'immagine autorevole da imitare, ammira le idee che diffonde Napoleone in tutta Europa, anche se il personaggio lo lascia perplesso.
Da poco uscito di collegio, respirando l'aria ricca di ideali illuministici della capitale lombarda, il giovane Manzoni scrive il suo primo poemetto in quattro canti, intitolato Del trionfo della libertà (1801), in cui, imitando il suo "maestro" Vincenzo Monti, e anche Dante, condanna ogni forma di tirannide.
In questi anni, incoraggiato dai consensi e dall'amicizia di poeti come Ugo Foscolo (1778-1827) ed Ermes Visconti (con la sorella del quale, l'angelica Luisina, vive l'emozione del primo amore, ma presto la famiglia scoraggia le assidue visite del tenero poeta), scrive l'ode Qual su le Cinzie cime (1802), in cui si sente l'influsso della poesia del Parini e del Foscolo, l'idillio Adda (1803), una sorta di invito al Monti perché sia suo ospite nella villa paterna del Caleotto, sul lago di Como, e i quattro Sermoni, in cui, alla maniera di Orazio, elabora una satira sferzante contro il malcostume del tempo. Il giovane comprende che il poeta deve coltivare in sé una fortissima tensione morale per trasformare l'opera d'arte in strumento educativo per l'umanità.
Questo è il retaggio di un altro grande poeta che, scomparso da qualche anno, ancora irraggia la sua personalità su tutta la cultura milanese e dà un carattere di forte impegno all'illuminismo lombardo: Giuseppe Parini (1729-1799).
A diciott'anni, nel 1803, Alessandro Manzoni è già noto ai più grandi intellettuali del tempo, a cui chiede giudizi e valutazioni sulla sua produzione: sottopone le poesie al Monti, che ha per lui parole lusinghiere. Diviene amico di Vincenzo Cuoco( 1770-1823).
Milano è una città stimolante e affascinante per il ragazzo che ha conosciuto, fino a sedici anni, i quieti paesaggi del lago di Como (contemplati dalla villa paterna del Caleotto, a Lecco) e gli austeri corridoi dei collegi. Tuttavia egli lascia la Lombardia con entusiasmo, quando la madre lo chiama a Parigi, nel 1805.
Nel 1804 il Monti si trova a Parigi, ospite dell'Imbonati e di Giulia e le parla di quel figlio lontano e praticamente sconosciuto. Non si sa che cosa induca Giulia a richiedere la presenza del figlio. Alessandro riceve l'invito: chiede i soldi per il viaggio al padre, che subito glieli concede; ma mentre si accinge a partire, viene raggiunto dalla notizia della morte dello stesso Imbonati, lasciando erede Giulia dei suoi beni, tra cui la villa di Brusuglio, poco fuori Milano. Il ventenne Alessandro, nel settembre 1805 raggiunge Parigi.
In quegli anni accompagna la madre tre volte in Italia, a Torino nel 1806, a Genova nel febbraio 1807 per conoscere Luigina Visconti nell'ambito di una combinazione matrimoniale che non si realizzerà, e nel settembre dello stesso anno a Milano, dopo il fallimento di una nuova combinazione matrimoniale con la giovane figlia dell'amico Destutt de Tracy. Sulle rive del lago di Como, sotto la guida della madre, conosce Enrichetta Blondel, figlia di banchieri ginevrini stabilitisi in Italia: anche per il carattere dolce e sensibile della giovane Enrichetta (che aveva solo 16 anni, contro i 22 del Manzoni): ancora una volta Giulia dimostra di ben conoscere il cuore del figlio e di saper indovinare la donna giusta per lui. La nuova combinazione ha successo.
Il matrimonio e la conversione
Così la sedicenne Enrichetta Blondel entra nella vita di Manzoni per lasciare una traccia importante. I due si sposano con rito civile nel Municipio di Milano il 6 febbraio 1808 e la sera stessa le nozze sono benedette con rito evangelico nella casa della sposa che pratica, infatti, la religione calvinista. Il padre di Enrichetta, Francesco Luigi Blondel, è un ricco imprenditore ginevrino, che possiede filande lungo l'Adda e inizia, proprio in quegli anni, l'attività di banchiere a Milano, dove acquista palazzo Imbonati.
Nel giugno del 1808 la famigliola Manzoni riparte per Parigi. I tre sono ottimamente assortiti e molto felici. Nella capitale francese nasce la primogenita, Giulia Claudia, nel dicembre 1809, che nell'agosto dell'anno seguente viene battezzata nella chiesa giansenista di Meulan con rito cattolico, così come prevedeva il contratto matrimoniale (che prevedeva che i figli nati dalla loro unione sarebbero stati allevati nel culto della religione cattolica).
Già nel settembre 1809 i due coniugi avevano fatto istanza al Pontefice Pio VII affinché il loro matrimonio venisse nuovamente celebrato, ma con rito cattolico, che avviene nel febbraio 1810.
La conversione religiosa si ripercosse anche nelle scelte letterarie: Manzoni abbandonò gli schemi neoclassici e cercò altre strade espressive, a cominciare dalla prima opera successiva alla conversione, gli Inni sacri, con i quali intendeva celebrare le principali festività dell'anno liturgico.

La famiglia Manzoni

Nell'inverno del 1810 i Manzoni si stabiliscono definitivamente a Milano, ma alternano la vita in città con frequenti soggiorni a Brusuglio: sono gli anni più felici, vissuti all'insegna dell'accordo perfetto.
Enrichetta genera figli, li allatta e li educa: nel 1813 nasce Pietro, nel 1815 Cristina, nel 1817 Sofia, nel 1819 Enrico. Nel 1821 viene alla luce Clara, che muore prima ancora di compiere due anni, nel 1822 nasce Vittoria, nel 1826 Filippo, nel 1830 l'ultimogenita, Matilde. Di questi soltanto Vittoria ed Enrico sopravviveranno al padre.

Brusuglio, con l'abitazione milanese di via del Morone e poi di piazza Belgioioso, brulica di amici di Manzoni, che sono anche i più significativi scrittori e intellettuali del tempo: Ermes Visconti, Giovanni Berchet (1783-1851), Tommaso Grossi (1790-1853), Carlo Porta (1775-1821), Massimo d'Azeglio (1798-1866), che diventerà suo genero, e poi, più tardi, i fiorentini Gino Capponi (1792-1876) e Giuseppe Giusti (1809-1850).
Negli stessi anni, di particolare rilievo sono le quattro odi civili:
- Aprile 1814, una delle opere indubbiamente meno felici, sia poeticamente che politicamente;
- Il proclama di Rimini, che a seguito della sconfitta del Murat a Tolentino rimane interrotta al 51° verso, ma è già rappresentativo delle idealità patriottiche del poeta;
- Marzo 1821, che rappresenta la vera dichiarazione politica e patriottica del Manzoni, con la sua aspirazione a un'Italia unita e libera dallo straniero;
- Il cinque maggio, scritto in occasione della notizia della morte di Napoleone Bonaparte.

Il 15 gennaio 1816 il Manzoni dà avvio alla composizione della prima delle sue due tragedie, Il conte di Carmagnola, che occuperà molto del suo lavoro, come testimoniano le lettere scritte al Fauriel e la Prefazione alla tragedia stessa.
Il 14 settembre, dopo aver affidato il manoscritto della tragedia all'amico Ermes Visconti perché ne curi la stampa dopo averla sottoposta all'esame della censura (verrà pubblicata nel gennaio dell'anno seguente), il Manzoni parte per Parigi, dove soggiorna fino al luglio 1820. Al ritorno a Milano comincia un'intensa stagione creativa, che parte con la tragedia Adelchi, passa attraverso l'Inno sacro La Pentecoste e le due Odici civili maggiori del '21 e si concluderà nel 1827 con la prima edizione dei Promessi Sposi.
Anni di lutti e amarezze
Il giorno di Natale 1833 muore Enrichetta Blondel: è il primo di una lunga serie di lutti che si abbattono su Alessandro Manzoni.
L'anno dopo si spegne la primogenita Giulietta, da poco andata sposa a Massimo D'Azeglio: ha solo venticinque anni. Turbato da questi lutti il Manzoni inizia l'inno Il Natale 1833, che rimane incompiuto.
Nel 1837 sposa Teresa Borri, vedova di Decio Stampa e madre di un ragazzo timido, Stefano Stampa, che saprà intessere con il grande patrigno un rapporto di stima, affetto, venerazione.
Nel maggio del 1841 muore Cristina, moglie di Cristoforo Baroggi, appena venticinquenne, seguita due mesi dopo da Giulia Beccaria. Nel marzo del 1845 è la volta di Sofia, di ventisette anni, sposata a Lodovico Trotti. Lo stesso anno Vittoria sposa Giovanbattista Giorgini, uomo politico di principi liberali e moderati, di cui si ricordano studi giuridici e storici. Vittoria si trasferisce a Pisa, dove, due anni dopo, la segue Matilde, malaticcia: quest'ultima morirà nel marzo 1856.

Ai lutti si aggiungono problemi economici: l'incendio del 1848 a Brusuglio, i cattivi raccolti, i debiti dei figli maschi intaccano un patrimonio oculatamente amministrato che ha consentito, fino ad allora, di vivere in agiatezza. Dei tre figli maschi, Filippo è già in prigione per debiti a ventisei anni, mentre Enrico dilapida il patrimonio della ricchissima moglie, con iniziative e speculazioni sbagliate. Un momento "eroico" della vita di Filippo è quando combatte contro gli austriaci il 18 marzo 1848, durante le cinque giornate di Milano. Viene preso prigioniero e trasferito a Vienna. Filippo morirà nel 1868, in miseria, lasciando quattro figli.

Nel 1860 Manzoni accetta la nomina a senatore del Regno d'Italia. A Torino partecipa alla seduta del Senato che conferisce a Vittorio Emanuele II il titolo di re d'Italia, il 26 febbraio 1861. Il disegno di legge passa alla Camera il 14 marzo e ne è relatore il genero dello scrittore, Giovan Battista Giorgini.
Nell'agosto del 1861 muore anche la seconda moglie, Teresa Borri, mentre nel 1856 è scomparso Claude Fauriel e, l'anno prima, nel 1855, il Manzoni ha perso il conforto del grande amico Rosmini.

La fine

Alessandro Manzoni resta lucidissimo sino alla fine della sua vita. Muore alle sei di sera del 22 maggio 1873, dopo penosa agonia, quasi un mese dopo la morte del figlio Pietro.

La sua decadenza è cominciata nel gennaio precedente, quando, uscendo dalla chiesa di San Fedele, a Milano, cade battendo la testa. I suoi funerali sono un momento solenne a cui partecipa tutta Milano.
Il corteo funebre, attraverso corso Vittorio Emanuele, giunge sino al Cimitero Monumentale e, l'anno dopo, nel primo anniversario della morte, Giuseppe Verdi gli dedica la sua Messa di Requiem, che personalmente dirige la mattina nella chiesa di San Marco e la sera nel teatro alla Scala.

Il romanzo

La scrittura lirica e quella tragica si erano rivelate troppo condizionate, sul piano linguistico, dalla tradizione e incapaci di offrire una scrittura "popolare", secondo le ambizioni romantiche, e di catturare un pubblico "nazionale". Da qui la scelta di un genere letterario romantico, capace di fare presa su un largo pubblico, e la lunga costruzione di una prosa di tono medio e di ambizione nazionale.
La storia della costruzione dell'unico romanzo di Manzoni occupa più di un ventennio. Una prima redazione, sconosciuta fino al 1915, che prese il nome di Fermo e Lucia, occupò il periodo tra il 24 aprile 1821 e il 17 settembre 1823. Subito dopo l'autore passò a una ristrutturazione del materiale (con eliminazione delle parti attinenti alla riflessione sul romanzo e sul lavoro letterario) e, attraverso il titolo provvisorio di Sposi promessi, arrivò al titolo definitivo, I promessi sposi, e alla prima edizione a stampa (in tre tomi) realizzata tra il 1825 e il 1827 a Milano. Subito dopo progettò una revisione sostanzialmente linguistica del romanzo, per eliminare i troppi lombardismi o francesismi (Manzoni parlava milanese o francese) e per dare un orizzonte nazionale al suo testo, orientandosi sulla lingua "viva", cioè parlata dai ceti colti della Toscana contemporanea. Per questo si recò a Firenze nel 1827 allo scopo di "risciacquare i panni in Arno".
Ragioni familiari e di salute ritardarono fino al 1840-1842 la seconda edizione, quella definitiva; uscita a dispense, recava un nuovo sottotitolo, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta. In appendice alla seconda edizione venne pubblicata, in edizione ampliata rispetto all'originaria Appendice, la Storia della colonna infame, che, prendendo spunto dalle vicende della peste del 1630 narrate nel romanzo, ricostruisce documentaristicamente gli eventi e in particolare il processo agli untori, per concludere, diversamente da come aveva fatto Pietro Verri in un suo precedente riesame del processo, con la condanna dei giudici.
Il romanzo, ambientato nei dintorni di Lecco, a Milano e nel Bergamasco, negli anni tra il 1628 e il 1630, presenta la struttura tradizionale dell'amore contrastato di due giovani che, dopo una serie di peripezie, riescono a sposarsi. Mancano gli elementi erotici e l'avventura è essenzializzata; in compenso il romanzo si colloca entro un sistema di valori etici e religiosi molto forti e dentro una realtà sociale e storica carica di elementi negativi (la storia come luogo del male e della "prova"), ma anche capace di rivelare nuove figure sociali (l'operaio-contadino intraprendente e capace di costruirsi un nuovo avvenire: Renzo padrone della filanda) che hanno a che fare con gli orizzonti sociali dell'Ottocento e, indirettamente, col Risorgimento. È il romanzo dei rapporti di forza nella storia, il romanzo del male e della sofferenza collettiva e individuale nella storia, ma è anche il romanzo del riscatto dell'individuo e della natura decaduta (ne è emblema la vigna di Renzo) che si salva. Insomma un grande esempio, materiato di storia, di come Dio agisce e conferisce senso al dolore. Ma la grandezza dell'opera sta soprattutto sul piano linguistico: con I promessi sposi Manzoni dette all'Italia l'istituto di una lingua nazionale, svolgendo un ruolo analogo, sul piano culturale, a quello che altri svolsero sul piano politico attraverso il compimento dell'unità d'Italia.
Resta il fatto che la lingua di questo romanzo è diventata la lingua dei dizionari e delle grammatiche, oltre che un modello per gli scrittori successivi (col fenomeno del manzonismo), e ancora nel Novecento (con Riccardo Bacchelli). E siccome Manzoni, nel raccontare la sua storia, si fece per così dire occhio di Dio, visse con particolare scrupolo il problema della verità storica fino al punto, prima, di rinnegare sul piano teorico l'esistenza del romanzo storico (Del romanzo e in genere de' componimenti misti di storia e di invenzione, 1845) e poi di cercare una soluzione psicologicamente rassicurante nel dialogo filosofico Dell'invenzione (1850), in cui giunse a negare il concetto stesso di "invenzione".









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